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Salvitelle
Come si raggiunge:
In treno: Linea Salerno-Reggio Calabria fermata SS.FF. Pisciotta-Palinuro.
In auto: Autostrada con uscita sulla A3 Salerno/Reggio Calabria, uscita casello Battipaglia con proseguimento sulla SS.18 per Agropoli prima e sulla variante SS.18,poi, arrivati a Futani statale 447 direzione Palinuro.
Via Mare: raggiungere il porto di IV classe e Turistico di Marina di Camerota equipaggiato ed attrezzato |
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Breve storia di Salvitelle
Le Origini di Salvitelle si possono far risalire intorno al VI secolo, quando, in seguito alle invasioni di Goti, Bizantini, Longobardi, che succedettero nella regione a partire dal 412 fino ad oltre la metà del secolo seguente, e alle successive frequenti incursioni saracene, le popolazioni locali lucane furono indotte ad abbandonare i villaggi delle vallate per cercare rifugio sulle alture e nei boschi. Nelle campagne circostanti sono state rinvenute cinque epigrafi tombali, probabilmente risalenti al periodo delle guerre sociali, incise su plinti rettangolari di pietra conservati nella chiesa del Rosario, che, insieme a vasellame e a resti di mura ed acquedotti, costituirebbero la testimonianza che lungo le valli del Meandro e del Tanagro sia esistito un "vico" o un "fundus " (centro agricolo autonomo), abbandonato dagli abitanti a causa delle scorrerie barbariche.
Come per tutti i popoli osco-sabellici la concezione religiosa si esprimeva attraverso il culto dei fenomeni naturali ed atmosferici.
Valore notevole, caricato di elementi simbolici, era ascritto all'ospitalità verso i forestieri, codificata da rituali e da leggi, la cui violazione comportava dure condanne. All'ospite si doveva usare cortesia, apprestando alla sua partenza tutto quanto fosse occorso per il viaggio, ed era prevista la consegna di una tavoletta di coccio divisa in due parti di cui una rimaneva al padrone di casa e l'altra accompagnava il viandante.
Con il dissolvimento dell'impero romano e con le invasioni barbariche, la regione cambiò aspetto in seguito all'abbandono delle valli fertili da parte delle popolazioni che, costrette a sfuggire alle continue razzie e devastazioni, si rifugiarono in zone elevate e ancora selvagge, costruendo nuovi insediamenti. Il nome stesso di Salvitelle, dall'originario Silvae tellae (terra di selva), attesta le caratteristiche naturali del territorio su cui sorse il primitivo centro abitato: la cima di un'altura sulla quale pare esistesse già un fortilizio romano, eretto dopo la seconda guerra punica a difesa della strada militare Aquilia che collegava la regione con la Basilicata e la Puglia.
La storia di Salvitelle è quella di un paese povero, teatro di incursioni di eserciti stranieri, che miravano ad impadronirsi del luogo posto in posizione strategica per il dominio sulla stretta valle del Melandro ed il controllo dell'accesso alla Basilicata, tormentato inoltre dai soprusi dei feudatari prima, poi dei galantuomini, cui era giocoforza versare pesanti tributi. Dopo la caduta degli Aragonesi nel XVI secolo, quando Francesi e Spagnoli si contesero il Reame di Napoli, la popolazione subì le conseguenze del malgoverno spagnolo. Pestilenze e carestie colpirono anche Salvitelle; già nel XIV secolo la popolazione era stata decimata dalla peste, che aveva risparmiato solo diciassette famiglie. Nei secoli successivi il paese fu ripetutamente soggetto a simili calamità, e si ricordano come particolarmente gravi danni causati dalle epidemie del 1656 e del 1667.
Il governo degli Spagnoli portò a un gravissimo dissesto dell'economia pubblica, con il decadimento dell'agricoltura e del commercio, reso difficile dalle condizioni delle vie di comunicazione, dai pedaggi gravosi cui erano soggette le merci da parte del signore e del fisco, e dal diffondersi del fenomeno del brigantaggio. Ad aggravare la situazione vi era il dilagare dell'usura, nata a causa dei gravi squilibri sociali provocati dal regime feudale.
Alle condizioni di miseria della popolazione non rispondeva l'interessamento dei governi, ma solo l'intervento di singoli cittadini, che tramite lasciti consentirono il sorgere di ospizi e l'istituzione dei " Legati pii", dei "Monti frumentari" e dai "Monti pecuniari".
I LEGATI PII erano fondazioni ecclesiastiche sorte verso il 1200, in un primo tempo per scopi essenzialmente di culto, in seguito per fini benefici. A Salvitelle esistevano cinque "Monti di maritaggi" eretti da famiglie benestanti al fine di fornire la dote a ragazze indigenti. Tuttavia i Legati pii gestiti da signorotti locali, anziché alleviare la miseria, finirono per accrescere il disordine economica e sociale del paese, e nel 1741 si rese necessario il Concordato fra Chiesa e Regno di Napoli per la creazione di un Tribunale misto, formato da laici ed ecclesiastici, per un controllo rigoroso sull'amministrazione degli Enti.
I MONTI FRUMENTARI, sorti nel Reame, avevano lo scopo di anticipare ai contadini le sementi a modico interesse. Nati per combattere l'usura, se in qualche modo in un primo tempo svolsero questa funzione (aiutando la popolazione a liberare le terre dall' infeudamento, a riscattarsi dall'asservimento a cui il regime feudale l'aveva costretta), caddero ben presto in mano ai "galantuomini", che introdussero nelle amministrazioni sistemi vessatori, servendosene per accrescere il proprio potere sui contadini. Dopo il terremoto del 1783 la nuova classe sociale costituita dalla borghesia rurale, determinata, nel suo nascere, dall'azione anti-baronale della monarchia, che intendeva sostituire la piccola alla grande proprietà, e favorita nel suo sviluppo dalla rivoluzione partenopea, si inserì nell'amministrazione: i capitali vennero incamerati e i Monti Frumentari furono preda degli speculatori.
I MONTI PECUNIARI furono creati nel 1834 dal Ministero dell'Interno, con il compito di anticipare somme di denaro, mai superiori ai dieci ducati, all'interesse del 6 %, ai coloni che ne facevano richiesta.
Governo ed autorità ecclesiastiche si trovarono concordi nel favorire il sorgere nel Regno di Napoli dei nuovi enti, entrambi consapevoli che la grave crisi in cui versava l'agricoltura avrebbe potuto sfociare in una aperta rivoluzione. La fondazione del Monte pecuniario di Salvitelle risale intorno al 1850, con una dotazione di 358 ducati.
Con l'Unità d'Italia i monti pecuniari in parte vennero chiusi e i loro capitali incamerati dallo Stato, in parte furono trasformati in Casse Agrarie Rurali, mentre il Monte frumentario di Salvitelle, a quanto si attesta, abbastanza immune dai soprusi di amministratori, rimase in funzione fino alla fine del secolo scorso.
E' per inciso, da sottolineare la pregnanza sociale ed economica della Chiesa, specialmente a partire dall'epoca feudale, quando, attraverso la costituzione degli enti benefici, si collocò come referente privilegiato delle istanze della popolazione, inducendo in tal modo un nuovo meccanismo di dipendenza incentrato sul doppio legame della fede e del bisogno.
Il periodo successivo all'unità nazionale fu caratterizzato dalla persistenza delle condizioni di debolezza economica accentuata dai gravami fiscali, imposti dal governo piemontese. La durata media della vita della popolazione di Salvitelle era allora di 26 anni per i maschi e di 30 per le donne, con un'alta mortalità infantile. In conseguenza di tale situazione di miseria ebbe inizio l'emigrazione, dapprima oltre Oceano, poi verso i Paesi d'oltralpe, che talora assunse i caratteri di vero e proprio esodo (il paese nel 1870 contava 1.480 abitanti, ridottisi a 1.050 nel 1910).
Nel primo dopoguerra dominava ancora il latifondo, appannaggio di pochissimi proprietari, discendenti da vecchie famiglie della nobiltà locale, con la conseguente notevole diffusione del bracciantato. Frequente era pure il rapporto di mezzadria esteso anche alla custodia e all'allevamento di pecore e capre. Gli artigiani, che producevano beni di consumo di prima necessità (calzolai, falegnami, sarti ecc.), costituivano una categoria privilegiata a Salvitelle, in quanto in condizione di contrattare il valore della propria prestazione lavorativa, Il pagamento avveniva raramente in moneta (a causa della scarsa liquidità in circolazione); nella maggior parte dei casi si ricorreva al baratto con prodotti agricoli o prestazioni lavorative. Gli artigiani, i pochi abitanti ad essere alfabetizzati, godevano dei privilegi connessi ad uno status più elevato, che permetteva loro di partecipare alla vita sociale e politica del paese aggregati in associazioni o come membri della banda musicale municipale.
Il definitivo dissolvimento del latifondo si verificò solo nel secondo dopoguerra, anche sotto la spinta delle lotte contadine che prefiggevano l'occupazione delle terre incolte. Se gli scontri non portarono ad alcun risultato immediato riscontrabile, tuttavia contribuirono ad accentuare la disgregazione di un sistema ormai profondamente in crisi.
Attualmente l'economia di Salvitelle è incentrata sull'agricoltura ( il tasso di attività di questo settore rappresentava, nel 1971, il 76,3 % del tasso di attività totale che era del 46,9 %) con una prevalenza del bracciantato esercitato nelle grandi aziende agricole della Piana del Sele, e una limitata persistenza della mezzadria. La piccola proprietà contadina è molto frammentata e i prodotti ricavati, essenzialmente olio e vino, a causa delle ridotte estensione dei fondi, vengono destinati all' autoconsumo. Pochi sono gli operai, e occupati in prevalenza nel settore edilizio.
Testi storici a cura di Bruno Guglielminotti
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