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Vibonati
Come si raggiunge:
In treno: Linea Salerno-Reggio Calabria fermata SS.FF. Pisciotta-Palinuro.
In auto: Autostrada con uscita sulla A3 Salerno/Reggio Calabria, uscita casello Battipaglia con proseguimento sulla SS.18 per Agropoli prima e sulla variante SS.18,poi, arrivati a Futani statale 447 direzione Palinuro.
Via Mare: raggiungere il porto di IV classe e Turistico di Marina di Camerota equipaggiato ed attrezzato |
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Breve storia di Vibonati
Secondo le informazioni riportate da storici e studiosi circa le origini di Vibonati si ipotizza un primo insediamento verso l'anno Mille.
Alcuni studiosi fanno risalire la fondazione della cittadina al IV sec. a. C. ad opera dei fuggitivi fenici di Tiro (e l'attuale denominazione di Tirone data a una località del paese avvalorerebbe tale ipotesi).
Altri ne attribuiscono l'edificazione a Gisulfo, ultimo dei principi longobardi di Salerno.
In base a questa tesi quindi, l'etimologia del toponimo sarebbe longobarda, composta da "Wib" (villaggio) e "ate" (ruscello) ad indicare appunto un villaggio sorto presso un torrente. Altri, ancora, ne collocano la fondazione in epoca romana, asserendo che Vibonati fosse l'antica "Vibo ad Siccam" di ciceroniana memoria e costituisse, nel periodo della grande potenza di Roma, un porto commerciale e militare di notevole importanza.
Un'ultima tesi vuole che un gruppo di persone che risiedevano in una zona chiamata Volle (distante dall'attuale Vibonati circa 2 km), decidessero di spostarsi più in alto perché più protetta dalle incursioni dei saraceni e dei pirati. Questa notizia sembra attendibile, in quanto ancora oggi sull'area detta Volle vi sono resti di alcune abitazioni in pietra, segni di un remoto agglomerato urbano.
Il Casato, nominato Casalis Vibonatorum, ha contribuito al trasferimento dei Vollesi poiché la sua struttura difensiva offriva maggiore sicurezza. Una prima data dell'esistenza di un casato risale al 1200 circa e si tratta di operazione effettuata da parte di un tale Rodolfo Deloturis, forse Principe di San Severo. La provenienza della famiglia nobile dei San Severo è alquanto confusa, ma nel 1471 troviamo un San Severi Conte di Capaccio, per cui è probabile la loro provenienza da quel paese e da quel ceppo familiare.
E' certo comunque che la cittadina, dopo essere stata a lungo dominio dei Normanni e dopo gli scompigli e i disastri delle invasioni barbariche, fu invischiata in una lunga storia medievale, passando nelle mani di numerosi feudatari. Nel 1078, con la scomparsa del principato dei Longobardi di Salerno, vinto e incorporato dai Normanni di Roberto il Guiscardo, il Cilento trovò la sua unità che durò fino al 1200, anno in cui il feudo passò ai San Severino.
Nel medesimo anno, peraltro, il capostipite della famiglia Ruggero di San Severino fece donazione alla Badia di Cava di alcuni casali del Cilento. Con la politica dei Normanni, che voleva isolare i culti orientali, si assiste alla ripresa cattolico-romana della chiesa bussentina che certamente condizionerà i culti greci dell'area.
La Contea di Policastro subì alterne vicende: nel 1229 passò a Giovanni Ruffo; nel 1348 a Gabriele e Luciano Grimaldi, quindi a Giovanni Antonio Petrucci, figlio di Antonello e segretario di Ferdinando I° di Aragona, dal quale fu fatto decapitare come ribelle nella piazza del Mercato a Napoli. Passò infine, nel 1496, al nobile don Giovanni Carafa e, come riporta la "Sinossi storico-cronologica erudita della Diocesi di Policastro" del 1831, "… ancora oggi è un feudo di questa nobile famiglia".
Infatti il 10 luglio 1552, "era un sabato sera", una flotta musulmana di 123 navi gettò le ancore nel Golfo di Policastro ed esattamente presso la località Oliveto.
Il giorno dopo, domenica, verso le ore quindici, i musulmani sbarcarono e misero a ferro e fuoco Policastro.
Contemporaneamente alcuni di essi saccheggiarono e distrussero Vibonati, Santa Marina e San Giovanni a Piro, altri assalirono Bosco, Torre Orsaia, Rocca Gloriosa e Castel Ruggero, inseguendone gli abitanti sui monti e uccidendoli in luoghi deserti.
Il mercoledì si riposarono su una spiaggia di Policastro e, il giorno dopo, giovedì, salparono di sera, così come di sera erano giunti, e si diressero con le loro navi verso Napoli.
Si legge in un antico manoscritto, come attesta Laudisio, che soltanto trenta persone rimasero a Policastro. Ma, dopo quella rovina, nuovi villaggi incominciarono a sorgere dai paesi devastati, cosicché oggi le località della diocesi sono di numero uguale, anche per quanto riguarda gli abitanti, a quello delle località elencate dall'arcivescovo metropolitano di Salerno nella sua pastorale. Dopo il 1600 la popolazione di Vibonati crebbe: causa di questa crescita furono le pesti che infestavano i paesi limitrofi, per cui la gente si spostava verso le colline dove il pericolo era minore.
Al momento che Casalis Vibonatorum era stato realizzato per le esigenze abitative precedenti, ecco che con l'insediamento dei nuovi arrivati esso si dovette estendere verso l'unica area possibile: la valle. Questo insediamento fece sì che alcune opere, come le mura (che erano a protezione del paese), fossero distrutte intorno al 1600 e sulle loro macerie venissero eretti altri fabbricati.
Certamente Policastro dovette rappresentare per il regno una importante testa di ponte, per cui i Normanni non permisero in questa città alcun tipo di autonomia, nemmeno in campo religioso. Si ritiene corretta l'ipotesi del Guzzo, secondo cui "questa triste circostanza fu che i Policastresi superstiti e senza tetto lasciarono il suolo natio e si rifugiarono lontano dal mare, sulle alture vicine, dove costruirono le loro case e stabilirono la definitiva dimora".
La preesistenza di certi casali è deducibile anche in considerazione delle precarie condizioni territoriali della fascia costiera, invivibile nei periodi estivi a causa della malaria nonché insicura per le frequenti incursioni di arabi saraceni che in quegli anni imperversavano depredando e saccheggiando le povere ed indifese popolazioni della costa.
Vibonati faceva parte di quella prima linea di difesa, impiegata dai Longobardi contro le improvvise penetrazioni dei Saraceni dalle Calabrie (antico Bruzio) e potenziata poi dagli Angioini durante la guerra angio-aragonese del Vespro tra Carlo Primo e Pietro di Aragona.
Dato certo della fiorente economia di Vibonati si riscontra in alcuni documenti ritrovati, dove si evidenzia che il paese, già nel 1300, pagava le decime; fatto non trascurabile, in quanto solo i paesi più agiati riuscivano a pagarle.
Dal momento che la maggior parte degli abitanti si dedicava alla caccia e alla conciatura delle pelli, la manodopera per lavorare la terra veniva a mancare, per cui quando era il periodo della potatura o il periodo della raccolta delle olive oppure della tosatura delle pecore, giungevano a Vibonati gli "emigranti" calabresi; e così accadde sino alla fine dell'800. Nel 1797, dopo una lunga serie di vendite, Vibonati, che all'epoca contava circa tremila abitanti, si trovò infeudata alla principessa Teresa Carafa di Policastro.
Dopo l'abolizione della feudalità, Vibonati si trovò al centro dei sanguinosi moti del Cilento de! 1848 e il 3 settembre 1860 ospitò Giuseppe Garibaldi, come ricorda una lapide di casa De Nicolelis.
Testi storici a cura di Panayotis Parissis
Fonte: Comune di Vibonati
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